LA RESPONSABILITA’ DELLA BANCA NELLO SVOLGIMENTO DEL SERVIZIO DI COLLOCAMENTO (Avv. Antonio Chicoli)
Il tema della responsabilità dell’intermediario da attività di collocamento origina “storicamente” dal più ampio problema della “responsabilità da prospetto”, e, più precisamente, nel momento in cui si è posta la questione se a fronte della violazione delle norme relative alla redazione dei prospetti, potesse ipotizzarsi (oltre che una responsabilità dell’emittente/redattore del prospetto), anche quella dell’intermediario incaricato del semplice collocamento.
Una tale conclusione fu inizialmente raggiunta argomentando dall’esistenza di un dovere di buona fede precontrattuale, nell’ipotesi in cui l’intermediario incaricato del collocamento avesse contribuito ad ingenerare un “affidamento oggettivo” in capo all’investitore (Portale 1982, 21; Lobuono 1999, 16).
Le prime applicazioni giurisprudenziali (relative al collocamento di valori mobiliari da parte di intermediari bancari) furono nel senso di affermare l’esistenza di una responsabilità di tipo precontrattuale (assimilata alla responsabilità contrattuale).
In quella circostanza si affermò infatti che la responsabilità da prospetto grava non soltanto “sugli emittenti e sui sottoscrittori del prospetto”, ma “si estende a tutti coloro” - come la banca - “che intervengono nelle trattative con una particolare qualifica professionale”.
Si è in particolare ritenuto che l’intermediario bancario, incaricato del collocamento di valori mobiliari presso il pubblico dei risparmiatori, risponde verso questi ultimi per le inesatte informazioni fornite sull’emittente di titoli (Trib. Milano, 11 gennaio 1988).
Analogamente, la Corte d’Appello milanese si esprimeva nei seguenti termini:
“La responsabilità da prospetto informativo configura un’ipotesi di responsabilità precontrattuale alla quale si deve riconoscere natura contrattuale.
L’intermediario bancario incaricato del collocamento presso il pubblico di valori mobiliari è gravato dal dovere precontrattuale di buona fede, dal quale derivano obblighi di informazione nei confronti dei sottoscrittori e del mercato.
Sussiste la colpa professionale della banca intermediaria che asseveri l’attendibilità di dati di bilancio relativi alla società emittente, senza avere richiesto informazioni ulteriori che avrebbero permesso di riscontrarne la recettività” (App. Milano, 2 febbraio 1990).
AFFIDAMENTO SULLA REPUTAZIONE DELL’ISTITUTO DI CREDITO
Il pubblico dei risparmiatori aderisce ad una sollecitazione, su consiglio dell’intermediario (Banca), preposto alla distribuzione, confidando sulla buona reputazione di quest’ultimo, secondo una fattispecie che fonda la responsabilità per imperita consulenza o per mancato rifiuto di intraprendere una operazione non adeguata. L’affidamento nella reputazione e nelle caratteristiche professionali di chi opera la determinazione del prezzo come pure l’affidamento nei confronti dell’istituto di credito o collocatore del titolo presso il risparmiatore, il quale conferma l’attendibilità del titolo, la certezza dello stesso comporta non solo un nesso di causalità per la diffusione di notizie incomplete, false, non corrette ma anche per il pregiudizio patrimoniale lamentato dall’investitore, il quale ha tratto affidamento dallo status e dalle dichiarazione dell’intermediario alienante.
Pertanto è possibile riscontrare un nesso di causalità fra la decisione dell’investimento e l’affidamento nella propria banca alla luce della vigente disciplina sui servizi di investimento da cui si trae la responsabilità dell’istituto di credito per attività di consulenza svolta in modo imperito e per la mancanza della previsione dell’art. 29 del regolamento intermediari, che impone l’astensione dall’effettuare con e per conto degli investitori, operazione non adeguate per tipologia, oggetto, e dimensione (l’azione di risarcimento per danni da informazioni non corretta sul mercato finanziario, Bruno, ed. Iovane, Napoli).
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI SANA E PRUDENTE GESTIONE
Costituisce una clausola generale, fonte diretta di doveri di comportamento che si affianca alla clausola generale di buona fede la quale governa ogni rapporto obbligatorio e naturalmente anche bancario.
Questo parametro della sana e prudente gestione, unito a quello generale della buona fede, consente l'emersione e l’assunzione di specifici piani di valutazione e organizzazione, quali regole extragiuridiche di comportamento, che divengono obbligatorie per la banca.
Esse possono consistere in regole di carattere tecnico, come pure di comune esperienza o di specifica maturazione in particolari ambienti economici, nei quali la banca opera, tali da poter fornire, a loro volta, criteri di valutazione della correttezza e conformità dell'attività della banca, non solo all'autorità di vigilanza nella attività di controllo, ma anche al giudice chiamato a decidere in ordine ad eventuali doglianze e pregiudizi lamentati da terzi in relazione ai loro rapporti con la banca. Tale parametro è poi assunto a criterio generale della attività di vigilanza delle autorità creditizie dall'art. 5 t.u.b., il quale, come primo criterio che deve informare l'attività di vigilanza, pone espressamente la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, oltre naturalmente alla competitività del sistema finanziario ed all'osservanza delle disposizioni in materia creditizia.
La sana e prudente gestione viene a costituire lo specifico criterio attraverso il quale verificare la correttezza del comportamento della banca.
Siffatto criterio, enunciato attraverso un sapiente equilibrio di aggettivi, indica la necessità che l'attività del banchiere sia rivolta verso la ricerca della redditività e della profittabilità. La prudenza nella gestione vuole escludere l’ammissibilità di quei comportamenti che antepongono a regole di prudenza diffusamente riconosciute, iniziative di rischio che possono essere pregiudizievoli per il risparmiatore.
L'attività della banca è contrassegnata non soltanto dalle caratteristiche di professionalità, che sempre si accompagnano a qualsiasi attività specialistica, ma anche da una professionalità di secondo, e comunque più elevato, livello.
Essa deriva dal fatto che la stessa attività di intermediazione, è una attività riservata a soggetti in grado, in ogni momento, dello svolgimento dell'attività, non soltanto di rispettare i criteri di cautela, quali quelli della sana e prudente gestione, ma anche dotati di una specifica professionalità, la quale deve perdurare nell'esercizio dell'attività, pena l'adozione, da parte dell'autorità di vigilanza, di provvedimenti addirittura rivolti ad escludere o perlomeno sospendere dal mercato la stessa banca. (Insitari, La responsabilità della banca, Banca Borsa e Titoli di credito, 2001).
Sul punto è interessante richiamare un passo particolarmente significativo delle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia (tit. X, cap. I, sez. I). Sebbene, infatti, il documento si riferisca alla normativa in tema di trasparenza bancaria, le stesse conclusioni possono essere ripetute mutatis mutandis in subjecta materia.
“La disciplina sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari persegue l'obiettivo di rendere noti ai clienti gli elementi essenziali del rapporto contrattuale e le loro variazioni, quale mezzo di promozione e salvaguardia del regolare esplicarsi della concorrenza nei mercati bancari e finanziari nonché di tutela dei "contraenti deboli", senza limitare sostanzialmente l'autonomia negoziale delle parti del rapporto. (…) La disciplina sulla trasparenza stabilisce principi e regole minimali. Essa diviene strumento efficace di concorrenza e di tutela della clientela col concorso di un comportamento degli operatori informato al corretto svolgimento dei rapporti con la clientela. A tal fine non è sufficiente, soprattutto nei confronti della clientela meno consapevole, la formale adesione alle prescrizioni normative, ma occorre il rispetto di regole deontologiche fondate su criteri di buona fede e correttezza nelle relazioni di affari. Questo comportamento, connaturato al carattere fiduciario del rapporto banca-cliente, consente nel lungo termine alla banca di fronteggiare le sollecitazioni provenienti dalla concorrenza e di rafforzare il grado di fidelizzazione della clientela, con benefici per la banca in termini di reputazione sul mercato”.
VIOLAZIONE DEL BEST EXECUTION RULE DELLA BANCA
La best execution rule, non specificatamente indicata dal decreto legislativo n. 58/1998 sull’intermediazione finanziaria, tra le regole comportamentali, in realtà costituisce l’applicazione dei principi generali, in particolare del criterio della diligenza – professionalità e dell’obbligo specifico che impone la banca o l’intermediario di comportarsi nell’interesse del cliente.
E’ corretto affermare che l’operazione di acquisito dei titoli o obbligazioni o azioni si estende e tutela le migliori condizioni di esecuzione delle operazioni e che pertanto, in virtù di questa regola, le banche sono gravate da stringenti doveri che impongono loro di valutare elementi più complessi, quali l’affidabilità della controparte, la velocità e le certezza dell’operazione, in prospettiva futura ed i vantaggi che il cliente potrà trarre in futuro. il concetto di diligenza professionalità nell’ambito della prestazione del servizio di negoziazione e di vendita di strumenti finanziari, si sostanzia, come detto, nell’obbligo di operare alfine di realizzare le migliore condizione per il cliente. Appare legittimo attendersi, nell’esecuzione dell’ordine dato dal cliente, la scelta migliore, secondo la preventiva valutazione del mercato regolamentato e non. (Sartori 2002).
La banca responsabile del collocamento presso i risparmiatori o l’intermediario bancario incaricato dalla società emittente a collocare il titolo, mancano di neutralità che sono invece propri del mediatore (Sollecitazione del risparmio e quotazione in borsa, in Tratt. S.p.a. diretto da Colombo e Portale, X, 2, Torino 1993). Come è possibile evincere nella normalità delle operazione finanziarie l’investitore non sottoscrive direttamente dalla società emittente gli strumenti finanziari, ma li acquista dall’istituto di credito, da un investitore o da un consorziato di collocamento. In questa prospettiva si pone una responsabilità del istituito o intermediario che abbia alienato al risparmiatore il titolo (Cox- Hillman. Langevoort, Securities Regulation, cit, p. 610; Assman-schutze. Handbuch des Kapitalan, cit. 7, Rdnn 188,
p. 303). La costruzione della responsabilità del collocatore presso i risparmiatori nasce dall’affidamento che di questi ultimi è ingenerato presso l’alienante in virtù della sollecitazione all’investimento ed alla reputazione della banca. Tale prospettiva pone l’istituto in condizioni di assoluta responsabilità perché nella posizione di vantaggio rispetto al risparmiatore il quale non può rendersi conto dei dati del prospetto, della falsità o della incompletezza dello stesso.
DOVERI DELLA BANCA NEL CONTRATTO DI CUSTODIA ED AMMINISTRAZIONE DEL DEPOSITO TITOLI
Il deposito titoli in custodia ed amministrazione comporta, per l’istituto di credito, una serie di obblighi: esigere gli interessi o i dividendi che i titoli producono, verificare i sorteggi per l’attribuzione di eventuali premi, curare la riscossione spettanti al titolare del deposito, accertarsi dei rimborsi del capitale. Inoltre sulla banca grava l’obbligo di informare il cliente sulla stato dei titoli investiti.
La banca nell’adempiere alle obbligazioni che derivano dal contratto di deposito titoli in amministrazione deve agire con la diligenza professionale. Gli obblighi elencati dall’art. 1832 c.c. non rappresentano un elenco tassativo poiché la banca deve assumere tutte quelle incombenze che sono dirette a tutelare i diritti patrimoniali del depositante.
Il dovere di informazione prima, durante e dopo le operazioni, in merito agli investimenti eseguiti, rientra tra gli obblighi che gravano sull’istituto di credito, il quale ha sempre il dovere di dare tempestivamente ogni comunicazione inerente le vicende che riguardano i titoli che essa amministra per conto dei propri clienti.
Tra gli obblighi posti a carico dell’ente bancario vi è quello di tutelare i diritti inerenti ai titoli depositati; dunque il legislatore, con questa previsione di ampio respiro impone alla banca di assumere una condotta determinata e volta alla salvaguardia del risparmiatore.
E’ nullo ogni patto che esonera la banca da qualsivoglia responsabilità nell’amministrare il deposito titoli in custodia ed amministrazione. L’obbligo di diligenza rappresenta elemento cardine. La banca, infatti, è responsabile, sia nel caso in cui fornisca ai propri clienti delle informazione inesatte - attraverso il prospetto informativo anche se questo sia stato predisposto dalla società che ha emesso i titoli - sia in caso di mancanza del prospetto informativo.
Nella presente fattispecie vi è l’esigenza di proteggere il risparmiatore il quale ha diritto di ricevere le notizie veritiere. La giurisprudenza ritiene che nella presente circostanza si debba parlare di responsabilità precontrattuale e che la stessa si estende non soltanto al soggetto emittente, ma in solido a coloro i quali hanno collocato presso i risparmiatori i titoli, in virtù del fatto della loro particolare professionalità che spesso risulta essere determinante per convincere il risparmiatore. “Gli obblighi di informazione che gravano su soggetti che sollecitano il pubblico risparmio si sostanziano in un’obbligazione di risultato nel senso che la prestazione dovuta consiste nell’esatta trasmissione di notizie e dati veri” (Tribunale di Milano 11.01.1988, RCP, 1988, 772; la responsabilità della banca, G. Liace, 76, 2003).
In applicazione dei principi relativi al mandato (artt. 1710 e segg. c.c.) qualunque sia il regime applicabile ai titoli, la banca è tenuta alla loro gestione svolgendo le operazioni previste dal codice civile, nonché ogni operazione necessaria o utili, tesa a tutelare i diritti inerenti i titoli, in quanto la formulazione dei doveri contenuta nella norma civilistica e nei testi contrattuali, è da considerarsi indicativa e non esaustiva. La banca nell’adempimento delle obbligazioni assunte nel contratto risponde ex art. 1176 c.c. secondo i principi di diligenza tecnica. In conseguenza della dematerializzazione dei titoli, l’interesse del cliente si è spostato dall’aspetto della custodia a quello della corretta amministrazione dei titoli.
La diligenza che la banca deve osservare nell’amministrazione dei titoli va conseguentemente letta come elemento di salvaguardia del risparmiatore e dei doveri incombenti sulla banca nell’esercizio dell’attività di amministrazione (Perassi – il deposito titoli in amministrazione, 589 – Codice Cian Trabucchi, ed. Cedam, pag. 1812).
PROSPETTO INFORMATIVO
Il prospetto è quel documento contenente informazioni qualificate, relative alle caratteristiche dei prodotti finanziari e degli emittenti, necessarie affinché gli investitori, attuali e potenziali, possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull'evoluzione dell'attività dell'emittente, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti.
Il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, prescrive la pubblicazione di un prospetto sia per effettuare una sollecitazione all'investimento (c.d. prospetto di sollecitazione di cui all'art. 94, D.Lgs. n. 58/1998), sia per iniziare le negoziazioni di strumenti finanziari in un mercato regolamentato (c.d. prospetto di quotazione di cui all'art. 113, D.Lgs. n. 58/1998).
La disciplina è inoltre completata dal regolamento Consob del 14 maggio 1999, n. 11971 (artt. 3-34 per il prospetto di sollecitazione e artt. 51-64-bis per il prospetto di quotazione); i contenuti del prospetto di sollecitazione e di quotazione comunque coincidono. Il regolamento prevede la possibilità che l'emittente o l'offerente decidano di redigere il prospetto nella forma di un unico documento o di documenti distinti (vale a dire il documento di registrazione, la nota informativa sugli strumenti finanziari e la nota di sintesi). Inoltre, l'emittente o l'offerente possono decidere di scindere il contenuto del prospetto pubblicando un "prospetto di base" che sarà eventualmente integrato in occasione di ciascuna sollecitazione o della quotazione (cfr. artt. 6, 6-bis e 53 del regolamento Consob n. 11971/1999).
Mentre il contenuto della comunicazione alla Consob è fissato dal regolamento, il contenuto del prospetto informativo è oggetto di una specifica disposizione di legge, quella contenuta nell’art. 94, co. 2, t.u.f.: « il prospetto contiene le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dei prodotti finanziari e degli emittenti, sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire a un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull’evoluzione dell’attività dell’emittente, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti ».
La circostanza che il contenuto del prospetto sia fissato direttamente dalla legge, rende la misura dell’importanza, già rimarcata, dell’aspetto informativo nella sollecitazione all’investimento. In questa prospettiva è stato esattamente rilevato come «la finalità della disciplina non è tanto quella di controllare, ai fini di stabilità del sistema, il trasferimento dei flussi finanziari (...) quanto quella di garantire un grado di trasparenza tale da consentire all’investitore di assumere scelte di investimento consapevoli. In sostanza, viene prevista maggiore attenzione all’investimento anziché all’emittente» (Comporti 1999).
Secondo l’art. 95, Co. 1, lett. a), la Consob con regolamento stabilisce “le modalità da osservare, prima della pubblicazione del prospetto, per diffondere notizie, per svolgere indagini di mercato ovvero per raccogliere intenzioni di acquisto o di sottoscrizione”.
Esiste dunque una fase anteriore alla stessa “proposta” di sollecitazione, una fase per così dire “precontrattuale”, in cui diventa fondamentale il rispetto degli obblighi di correttezza, i quali ultimi sono stati per così dire “codificati” dalla Consob, in attuazione della previsione di legge ora ricordata.
Si tratta di una attività “preparatoria”, che evidentemente deve tenersi distinta, sia dalla diffusione di messaggi promozionali: questi ultimi infatti costituiscono forma della sollecitazione, e sottostanno all’obbligo di preventiva comunicazione; sia dagli stessi annunci pubblicitari (e, infatti, l’art. 101 t.u.f. puntualizza che «prima della pubblicazione del prospetto è vietato qualsiasi annuncio pubblicitario riguardante sollecitazioni all’investimento »).
- Le differenze tra prospetto di quotazione e di sollecitazione
Peraltro l'argomento è oramai caduto in quanto il regolamento Consob n. 11971/1999, in linea con la disciplina comunitaria (che, nulla dispone al riguardo), ha abrogato l'obbligo di consegna del prospetto di sollecitazione, prima dell'adesione, ai fini del perfezionamento dell'operazione.
Il regolamento piuttosto equipara completamente i prospetti di quotazione e sollecitazione e ne prescrive il deposito ed altre forme di pubblicità (artt. 8 e 56 del regolamento Consob n. 11971/1999). Quindi neanche il dato testuale può essere, a questo punto, di sostegno alla tesi della natura precontrattuale (considerata come contrattuale) della responsabilità che discende dall'inserimento di notizie inesatte nel prospetto, né alla tesi di una differenziazione tra i due modelli di prospetto).
Invero, in ragione dell'indeterminatezza dei soggetti destinatari delle informazioni, non è possibile configurare un rapporto obbligatorio propriamente inteso, neppure di buona fede; le informazioni pubblicate nel prospetto (sia di sollecitazione che di quotazione) sono destinate al mercato e contribuiscono ad una valutazione indistinta degli strumenti finanziari offerti o quotati che servirà a determinare il prezzo.
Con particolare riferimento al prospetto di sollecitazione, bisogna infatti considerare che nonostante la sua pubblicazione sia funzionalmente destinata alla conclusione di un negozio (di sottoscrizione, acquisto o scambio) tra emittente e singoli risparmiatori, l'obbligo di sua redazione e pubblicazione deve essere adempiuto prima di dare corso all'operazione di sollecitazione (cfr. art. 94, comma 1, D.Lgs. n. 58/1998) e quindi a prescindere dall'effettiva conclusione di un contratto e, prima ancora, a prescindere dall'instaurarsi di un rapporto giuridico o contatto qualsiasi.
Anche il prospetto di sollecitazione è rivolto al pubblico in generale, e in queste circostanze non è possibile ipotizzare l'instaurarsi di trattative, poiché manca una messa in relazione tra soggetti determinati e, in assenza di trattative o di un comportamento oggettivamente orientato alla conclusione di un contratto, non è configurabile la responsabilità precontrattuale dell'emittente.
- l principi sottesi alle informazioni contenute nel prospetto
La direttiva n. 2003/71/Ce fa riferimento alla necessità di completezza, obiettività, facile analizzabilità e comprensibilità delle informazioni contenute nel prospetto.
Espressione del perseguimento del principio di completezza e veridicità delle informazioni, è senz'altro la norma che prevede la redazione di supplementi di prospetto, allorché intervengano variazioni (ossia significativi fatti nuovi, errori materiali o inesattezze del prospetto) rispetto alle informazioni già inserite che possano influire sulla valutazione degli strumenti finanziari.
Infine, in applicazione dei medesimi principi, l'art. 94, comma 2, del D.Lgs. n. 58/ 1998 prevede la clausola generale che implica l'inserimento di informazioni aggiuntive, se necessarie per un adeguato apprezzamento dell'andamento gestionale, della situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'emittente, delle caratteristiche dei prodotti finanziari e dei rischi connessi con l'operazione.
Può quindi concludersi che gli schemi-tipo, di cui al regolamento Ce, rappresentano solo il contenuto minimale del prospetto; l'assimilazione tra clausola generale del bilancio e del prospetto è confermata testualmente e discende dalle disposizioni comunitarie. Può evincersi che la disciplina del bilancio ha costituito il modello legislativo di riferimento per regolare tutte le altre informazioni, tra cui il prospetto, da cui può derivare un danno sul mercato.