Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 15678/16; depositata il 28 luglio (Rapporto di lavoro, Dimissioni, Infermità)

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 15678/16; depositata il 28 luglio (Rapporto di lavoro, Dimissioni, Infermità)

A)  L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. B)  L’atto delle dimissioni è annullabile, secondo la disposizione generale di cui all’art. 428 c.c., comma 1, ove il dichiarante provi di trovarsi, al momento in cui è stato compiuto, in uno stato di privazione delle facoltà intellettive e volitive - anche parziale purché tale da impedire la formazione di una volontà cosciente - dovuto a qualsiasi causa, pure transitoria, e di aver subito un grave pregiudizio a causa dell’atto medesimo, senza che sia richiesta, a differenza che per i contratti, per i quali vige la specifica disposizione di cui all’art. 428 c.c., comma 2, la malafede del destinatario".

 

LA SENTENZA

 

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 aprile – 28 luglio 2016, n. 15678
Presidente Di Cerbo – Relatore Balestrieri

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 21.3.07, S.G. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli la società Plastic Components and Module Auto Motive s.p.a. (di seguito Plastic Components) per far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 14.8.06 per assenze ingiustificate dal 20 al 28.7.06, con ordine di reintegra in servizio ed il pagamento di tutte te retribuzioni maturate dal licenziamento all’effettiva reintegra.
Si costituiva la società deducendo la illegittimità della condotta che aveva portato all’irrogazione del licenziamento, posto che nessuna documentazione medica tra quelle esibite dal ricorrente a sostegno del disturbo comportamentale attestava la sussistenza della patologia alla data del 20.7.06, primo giorno di assenza ingiustificata.
Il Tribunale, con sentenza del 9.2.09, accoglieva parzialmente la domanda ed annullava il licenziamento, con ordine di reintegra e condanna della società al pagamento di cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Il Giudice riteneva che l’assenza ingiustificata dal lavoro doveva ascriversi allo stato psicofisico dello S. che aveva alterato i suoi rapporti non solo familiari ma anche lavorativi, sicché la sua condotta non poteva essergli addebitata.
In considerazione della buona fede del datore di lavoro- il quale era ignaro della transitoria situazione mentale del lavoratore- limitava tuttavia il risarcimento a cinque mensilità di retribuzione.
Avverso tale sentenza proponeva appello lo S. , relativamente alla misura risarcitoria, evidenziando che la società era da tempo a conoscenza delle sue condizioni di salute. Si costituiva la società, resistendo al gravame e proponendo appello incidentale quanto alla ritenuta illegittimità del licenziamento.
Con sentenza depositata il 12 aprile 2013, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza impugnata, respingeva l’originaria domanda proposta dal lavoratore.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso lo S. , affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste la società con controricorso.

Motivi della decisione

1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106, 2119, 2697 c.c., e 115 c.p.c..
Lamenta che la sentenza impugnata, pur dando atto della sussistenza di una patologia di tipo psichico in capo al lavoratore, non ne abbia tenuto, anche ai fini del giudizio di proporzionalità della sanzione, adeguato conto, non valutando, oltre alla giovane età del dipendente e le modeste mansioni affidategli, le deposizioni testimoniali assunte; la denuncia di scomparsa (presentata il 4.6.06 alla Questura di Napoli dal fratello Stanislao); la cartella clinica della (OMISSIS) ; la relazione medica del dr. C. (del novembre 2006), circostanze tutte deponenti per una patologia di natura psichica grave) tale da compromettere le facoltà di giudizio dello S. , e che comunque avrebbero dovuto indurre alla nomina di un c.t.u..
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost., stante l’incoerenza, l’insufficienza ed illogicità della motivazione, tali da impedire di comprendere l’iter logico seguito dalla Corte di merito. Ciò derivava dal fatto che la sentenza, per un verso ritenne sussistente un’alterazione psichica del ricorrente, d’altro canto escluse la sua idoneità a giustificare il comportamento censurato (assenza ingiustificata).
3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.).
Evidenzia che la nuova formulazione dell’art.360, comma 1, n. 5 c.p.c. non può comportare il venire meno del vizio di insufficienza della motivazione, sicché la superficiale valutazione della documentazione sanitaria in atti e della denuncia di smarrimento presentata dal fratello del ricorrente, avrebbero dovuto condurre ad una diversa conclusione.
4.- I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono infondati.
Premesso che la motivazione della sentenza impugnata non contiene argomentazioni contrastanti tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” che sorregge il "decisum", cfr. Cass. sez.un. n. 25984/10 (nella specie; sussistenza di una patologia psichica ma non tale da giustificare il comportamento addebitato), deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (proporzionalità della sanzione: Cass. n. 8293 del 25/05/2012, Cass. n. 144 del 08/01/2008, Cass. n. 21965 del 19/10/2007, Cass. n. 24349 del 15/11/2006, e gravità dell’inadempimento: Cass. n. 1788 del 26/01/2011, Cass. n. 7948 del 07/04/2011) si sostanzia in un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c..
Deve allora rimarcarsi che "..Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso" (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).
Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito, che ha peraltro accertato che la dedotta infermità psichica non era comunque tale da ridurre la capacità di intendere e di volere del lavoratore.
Al riguardo questa Corte ha già affermato (Cass.n.11900/2011, Cass. n.4967/2005, Cass. n. 515/2004) che "le dimissioni del lavoratore subordinato costituiscono atto unilaterale recettizio avente contenuto patrimoniale a cui sono applicabili, ai sensi dell’art. 1324 c.c., le norme sui contratti, salvo diverse disposizioni di legge. Ne consegue che l’atto delle dimissioni è annullabile, secondo la disposizione generale di cui all’art. 428 c.c., comma 1, ove il dichiarante provi di trovarsi, al momento in cui è stato compiuto, in uno stato di privazione delle facoltà intellettive e volitive - anche parziale purché tale da impedire la formazione di una volontà cosciente - dovuto a qualsiasi causa, pure transitoria, e di aver subito un grave pregiudizio a causa dell’atto medesimo, senza che sia richiesta, a differenza che per i contratti, per i quali vige la specifica disposizione di cui all’art. 428 c.c., comma 2, la malafede del destinatario".
Quanto poi alla lamentata lesione del diritto di difesa a seguito del nuovo testo del n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., deve rilevarsi che, come evidenziato dalla citata pronuncia delle sezioni unite di questa Corte, la ratio legis della novella è finalizzata, in un quadro perfettamente compatibile con i principi costituzionali, ad evitare l’uso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione non strettamente necessitati dai precetti costituzionali. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.
In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione" (cfr. Cass. sez.un. 17 aprile 2014 n. 8053).
5.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.