Risarcimento danni avverso Banca - testimonianza del promotore finanziario - inammissibilità ex art. 246 c.p.c. - sussiste
Con ordinanza del 2 Dicembre 2016, aderendo all’orientamento della Corte Costituzionale (Corte Cost. sentenza n. 248/74), il Tribunale di Napoli Nord, Giudice Dott. Giovanni Di Giorgio, esaminate le richieste istruttorie dell’istituto di credito, rivolte ad ascoltare il promotore finanziario, quale testimone, in un giudizio avente ad oggetto un’azione di risarcimento danni, nullità contrattuale e risoluzione del contratto quadro, nei confronti di una Banca in virtù di operazioni in derivati in violazione delle regole del TUF, rigettava la domanda su queste considerazioni: "considerato che la dedotta prova testimoniale del sig. (…) è inammissibile, ai sensi dell’art. 246 C.p.c., atteso che egli è, secondo la prospettazione di parte attrice, parte potenziale del processo quale soggetto; rilevato infatti che: l’art. 246 C.p.c. prevede che “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”.
Il Tribunale, aderendo all’orientamento della Corte Costituzionale, la quale ha esaminato, in modo approfondito, la disposizione in esame, rileva che la norma non vieta l'assunzione, come testi, di coloro che abbiano un qualsiasi interesse nel processo, ma riguarda soltanto le persone “aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”.
Il riferimento a un interesse, tale da legittimare la partecipazione al giudizio, dimostra che il divieto dell'art. 246 cit. è dettato in funzione del principio, proprio del nostro ordinamento processuale civile, di incompatibilità delle posizioni di teste e di parte nel giudizio.
Questi soggetti possono spiegare intervento in giudizio, o ai sensi del secondo capoverso dell’art. 111 C.p.c., o sotto forma di intervento litisconsortile o adesivo autonomo (come è quello del concreditore solidale), ovvero, infine, sotto forma di intervento adesivo dipendente, di cui al capoverso dell’art. 105 C.p.c. (intervento del sub conduttore, del fideiussore, dell’obbligato in via di regresso).
L’art. 246 C.p.c. è dettato con riguardo alla prospettiva di chi si mantenga estraneo al giudizio e, ciò nonostante, per la particolare situazione giuridica che a lui fa capo, è in condizione, secondo le regole di diritto sostanziale, di potere, poi, invocare, a proprio favore, l'efficacia diretta o riflessa del giudicato, formatosi col contributo della propria testimonianza.
L’art. 246 C.p.c. equipara alla parte coloro che sono titolari di un interesse giuridico che legittimerebbe ad assumere la qualità di parte del giudizio e, a fortiori, coloro che hanno già assunto la qualità di parte in un processo litisconsortile.
Tale norma inoltre prevede un limite che deriva dalla distinzione, nell’ambito del processo, tra parte e testimone, e dalla differente disciplina che regola le relative “posizioni processuali”, quindi, stabilisce un principio di ordine pubblico processuale, la cui violazione è rilevabile d’ufficio dal giudice.