Operazione finanziaria in fase di Grey Market e prova di diligenza degli obblighi informativi (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 giugno 2018 n. 15770).
1. Con atto notificato il 15 giugno 2005, l’associazione denominata "Sportello del consumatore", il comitato "San Giorgio per la difesa dei soci delle istituzioni creditizie", ed un gruppo di 55 risparmiatori (quelli indicati in epigrafe come controricorrenti ed intimati) citarono in giudizio la Banca CARIGE - Cassa di Risparmio di Genova e Imperia s.p.a. (d’ora in avanti indicata, più semplicemente, come Banca) per sentire dichiarare inesistenti e/o nulli e/o invalidi e/o inefficaci, ed in subordine annullare, i contratti di negoziazione aventi ad oggetto le obbligazioni "(…)" acquistate dagli attori per un valore nominale complessivo di Euro 580.000,00 circa, con dichiarazione, in ogni caso, della responsabilità contrattuale, precontrattuale, extracontrattuale della Banca, e conseguente condanna della medesima al rimborso delle spese ed al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non - derivati agli istanti (enti e persone fisiche). Tanto sull’assunto che gli attori, in occasione dei singoli acquisti, non erano stati informati circa la natura e le caratteristiche effettive dei titoli obbligazionari oggetto di negoziazione, né della loro intrinseca rischiosità, essendo, invece, questi stati pubblicizzati dalla Banca proponente come titoli "sicuri" e "tranquilli", spesso per il solo effetto della notorietà del marchio commerciale "(…)".
1.1. Con sentenza n. 119 del 10 ottobre 2006/12 gennaio 2007, l’adito Tribunale di Genova: a) dichiarò la carenza di legittimazione attiva dell’associazione e del comitato predetti, compensando le spese di lite tra costoro e parte convenuta; b) condannò la Banca alla restituzione a favore di B.P. , (+Altri) , delle somme dagli stessi rispettivamente versate quale corrispettivo delle operazioni poste in essere, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; c) respinse le domande di N.F. e degli altri attori dichiarando integralmente compensate tra le parti le spese di lite; d) condannò la convenuta soccombente alla rifusione delle spese processuali a favore degli attori risultati vittoriosi.
2. Detta sentenza fu appellata, in via principale, dalla Banca ed incidentalmente da tutti gli attori in primo grado, e la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1140 del 15 luglio/16 settembre 2014: i) dichiarò inammissibili il gravame della Banca (per carenza di specificità dei corrispondenti motivi e loro eccentricità rispetto alla motivazione resa dal tribunale) e quello incidentale dell’associazione e del comitato suddetti, nonché di Ba.Lo. , (+Altri) (perché ritenuto tardivo); ii) in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da P.B. , (+Altri) - è infondato.
7.1. La corte genovese, invero, ha dato atto che l’appello incidentale predetto era stato proposto solo il 14 maggio 2008, laddove la sentenza impugnata era stata depositata il 12 gennaio 2007: tali dati fattuali evidenziano che, alla prima di tali date, era certamente decorso il termine cd. lungo di un anno (sebbene al lordo della sospensione feriale per i quarantasei giorni dall’1 agosto al 15 settembre del 2007), di cui all’art. 327, comma 1, cod. proc. civ. nel testo, anteriore alla riforma apportatagli dalla legge n. 69 del 2009, qui applicabile ratione temporis.
7.1.1. Ciò che, dunque, andava (e deve, oggi, essere) stabilito era, in primis, se lo stesso potesse essere, o meno, considerato proposto ex art. 334 cod. proc. civ., solo successivamente valutandosene, se positivamente risolto quell’interrogativo, la sua tempestività in rapporto alle corrispondenti modalità di proposizione (con la comparsa di costituzione in appello depositata nel termine di cui al combinato disposto degli artt. 343, comma 1, e 166 cod. proc. civ.).
7.2. La corte territoriale, come chiaramente si ricava dalla motivazione resa sullo specifico punto (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata), ha ritenuto, dopo aver individuato le condizioni generali di ammissibilità di una impugnazione incidentale tardiva, di dare risposta negativa all’interrogativo suddetto avvalendosi del principio giurisprudenziale (cfr. Cass. 24902 del 2008) secondo cui "la parte parzialmente soccombente può proporre appello incidentale tardivo, ai sensi dell’art. 334 cod. proc. civ., anche in riferimento ai capi della sentenza di merito non oggetto di gravame con l’impugnazione principale, a condizione che si tratti di impugnazioni proposte in relazione ad unico rapporto, mentre, qualora si tratti di distinti rapporti dedotti nello stesso giudizio, ovvero in cause diverse poi riunite, ciascuna parte deve proporre impugnazione per i capi della sentenza che la riguardino nei termini di cui agli artt. 325 e 327 cod. proc. civ.". Tanto ha affermato evidenziando (cfr. la medesima pag. 14) che, "Nel caso in esame, sono stati dedotti in giudizio diversi ed autonomi rapporti contrattuali, per cui il gravame della banca poteva rimettere in discussione esclusivamente i rapporti con riferimento ai quali ha proposto, in quanto soccombente, l’impugnazione. Pertanto, se sono certamente ammissibili i gravami incidentali proposti dagli attori che hanno visto accolte alcune delle domande rispettivamente proposte, non altrettanto può dirsi per tutti gli altri attori investitori, soccombenti in primo grado, il cui interesse all’impugnazione era sorto sicuramente sin dalla pronuncia in questione".
7.2.1. Trattasi, ad avviso di questo Collegio, di considerazioni affatto corrette.
7.2.2. Va data, invero, continuità all’indirizzo giurisprudenziale applicativo dell’art. 334 cod. proc. civ. (per il quale cfr. Cass., Sez. U, n. 24627 del 2007 e, di recente, ex aliis, Cass. n. 1879 del 2018; Cass. n. 12387 del 2016; Cass. n. 23396 del 2015; Cass. n. 25848 del 2014) secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, ove l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivanti dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, atteso che l’interesse ad impugnare sorge, anche nelle cause scindibili, dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale modifichi tale assetto.
7.2.3. Nella fattispecie in esame, è innegabile l’autonomia dei singoli rapporti contrattuali dedotti in giudizio, sebbene con unica citazione recante contestazioni analoghe per ciascuno di essi contro la Banca (né trovando un fondamento normativo l’affermazione, contenuta alla pag. 45 del controricorso recante il ricorso incidentale in esame, per la quale "il fatto (pacifico) che fosse in questione una pluralità di contratti era superato dall’impostazione giuridica dell’azione "para collettiva" che presuppone e prevedeva la totale coincidenza della "batteria" di contestazioni contrattuali mosse al medesimo soggetto Banca"), con conseguente scindibilità delle cause così introdotte, ed è altrettanto certo che l’interesse ad impugnare la pronuncia di primo grado, da parte degli attori/investitori ivi risultati totalmente soccombenti, era evidentemente sorto, per loro, fin da detta pronuncia, senza che l’assetto di interessi da questa configurato per i medesimi potesse in alcun modo essere rimesso in discussione dall’appello principale dalla Banca, chiaramente finalizzato a ridiscutere i soli rapporti peri quali essa era risultata soccombente.
7.2.4. Per quanto appena detto, allora, gli attori/investitori suddetti non avrebbero potuto avvalersi del peculiare strumento di cui all’art. 334 cod. proc. civ., con conseguente tardività del gravame incidentale dagli stessi proposto (perché spiegato oltre il già menzionato termine cd. lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ., pur maggiorato del periodo feriale) sebbene inserito nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata costituendosi innanzi alla corte genovese.
8. Infondato è anche il secondo motivo del predetto ricorso incidentale, che censura la dichiarata carenza di legittimazione attiva dell’Associazione denominata "Sportello del consumatore" e del comitato "San Giorgio per la difesa dei soci delle istituzioni creditizie".
8.1. Invero, ribadito che le azioni risarcitorie promosse dagli investitori nel presente giudizio hanno natura individuale, ancorché siano state proposte, ai sensi dell’art. 33 cod. proc. civ., davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una delle parti (o, come può ritenersi nella specie, di quasi tutte) per essere decise nello stesso processo, e considerato che quest’ultimo è stato introdotto il 15 giugno 2005 (cfr. data di notificazione della citazione introduttiva del primo grado), dunque, in epoca precedente all’introduzione del codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) e nel vigore della legge n. 281 del 1998, è sufficiente ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 23304 del 2016, resa nei confronti proprio dell’associazione e comitato predetti, hanno affermato che "sotto la vigenza della L. n. 281 del 1998, e prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo), le associazioni che si propongono statutariamente la tutela dei diritti dei consumatori (nella specie, l’interesse dei risparmiatori a ricevere un’informazione corretta nell’acquisto di prodotti finanziari), non inserite nell’elenco di quelle legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi di cui agli artt. 3 e 5 della citata legge, non sono legittimate ad intervenire ad adiuvandum nei giudizi risarcitori proposti individualmente dai singoli consumatori, atteso che un siffatto intervento è consentito solo ove l’interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente, e non di mero fatto, e che, anteriormente all’introduzione dell’art. 140-bis del predetto codice del consumo, gli interessi "diffusi", quali quelli dei consumatori, sono "adespoti" e possono essere tutelati in sede giudiziale solo se il legislatore attribuisca ad un’associazione la qualità di ente esponenziale degli interessi stessi, così che essi possano assurgere al rango di "collettivi"".
9. Il terzo motivo, invece, è fondato.
9.1. È opportuno premettere che i rapporti dedotti in causa si sono svolti in epoca antecedente al recepimento delle direttive comunitarie n. 39 del 2004 e n. 73 del 2006 (cd. direttiva MiFid), poi integrate dal regolamento n. 1283 del 2006. Si farà, perciò, riferimento alla disciplina dettata dal t.u.f. del 1998 (d.lgs. n. 58 del 1998) e dal regolamento Consob vigente prima delle modifiche apportate per adattarlo alle suddette nuove direttive.
9.2. La corte territoriale, nel disattendere il decimo motivo di gravame incidentale innanzi ad essa formulato dagli attori/investitori parzialmente soccombenti in primo grado, che, con esso, avevano lamentato l’errore del tribunale nell’escludere la violazione della normativa speciale sull’intermediazione in tema di cessione nel periodo di cd. grey market, ha sostenuto che (cfr. pag. 17 della sentenza impugnata) "se può, in astratto, condividersi l’affermazione circa la delicatezza del periodo cosiddetto "grey market", le circostanze del caso in esame rendono condivisibili le argomentazioni del primo giudice che ha evidenziato l’irrilevanza del momento in cui è avvenuto l’acquisto, poiché il titolo era garantito da (…) s.p.a., società che godeva all’epoca, del favore del ceto creditizio, per cui nessun dubbio sulla solidità poteva avere la banca convenuta".
9.3. Questa Corte, nel precisare come deve essere ripartito l’onere della prova nei rapporti tra intermediario finanziario ed investitore, ha ritenuto che quest’ultimo deve allegare l’inadempimento del primo alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal T.U.F. e dalla normativa secondaria, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito "con la specifica diligenza richiesta" (cfr., ex aliis, Cass. n. 3773 del 2009; Cass. n. 22147 del 2010; Cass. n. 18039 del 2012, in motivazione).
9.3.1. Il giudice di merito, quindi, per assolvere l’intermediario dalla responsabilità addebitatagli dal risparmiatore, non può limitarsi, come, invece, ha sostanzialmente fatto la corte genovese con la giustificazione predetta, ad affermare che mancherebbe la prova della negligenza ovvero dell’inadempimento dell’intermediario, ma deve accertare che sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico.
9.3.2. Non potrebbe, poi, certamente ritenersi che non esistono titoli di debito "sicuri", rivelandosi un siffatto argomento incongruo e tautologico, posto che, traendone le logiche conseguenze, dovrebbero ritenersi superflue le cautele poste dall’ordinamento a protezione degli interessi dei risparmiatori, con tutto il corollario di obbligazioni poste a carico degli intermediari, per la natura intrinsecamente aleatoria di ogni investimento in strumenti finanziari.
9.3.3. La corte di merito ha considerato - condividendo, in parte qua, l’assunto del giudice di prime cure - irrilevante il momento in cui avvenne l’acquisto "poiché il titolo era garantito da (…) s.p.a., società che godeva, all’epoca, del favore del ceto creditizio, per cui nessun dubbio sulla solidità poteva avere la banca convenuta". In altri termini, secondo la suddetta corte, posta la ritenuta solvibilità della società garante, di cui, evidentemente, non vi era, all’epoca, preallarme di default, quel titolo sarebbe stato sostanzialmente conveniente, sicché la Banca non avrebbe avuto ulteriori oneri informativi da adempiere.
9.3.4. Così opinando, però, la valutazione di convenienza economica che doveva essere alla base dell’investimento è stata rimessa alla banca (e, in definitiva, allo stesso giudice), anziché all’investitore, come, invece, avrebbe dovuto essere, con un rovesciamento delle posizioni che l’ordinamento assegna a ciascuna parte nel rapporto avente ad oggetto la prestazione dei servizi di investimento.
9.3.4.1. L’art. 21, comma 1, del T.U.F. pone, infatti, a carico della banca l’obbligo di "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati" e di "acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati". Quindi, "se" e "in quali titoli" investire deve essere oggetto di una decisione informata ed esclusiva dell’investitore, sulla base di informazioni specifiche che gli devono essere rese dall’intermediario "sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento" (art. 28, comma 2, reg. Consob n. 11522 del 1998); l’investitore deve essere informato delle "ragioni per cui non è opportuno procedere all’esecuzione" delle operazioni disposte dal cliente quando inadeguate e, in tal caso, esse possono essere ugualmente eseguite solo sulla base di un ordine da lui impartito per scritto (art. 29, comma 3, reg. Consob cit.). Prima ancora, però, l’intermediario ha l’obbligo di informarsi, a sua volta, del profilo del cliente (dovrà chiedergli notizie, al momento della stipulazione del contratto-quadro, sulla sua esperienza, situazione finanziaria, sugli obiettivi di investimento, sulla propensione al rischio, ecc.; v. art. 28, comma 1, reg. cit.), e quello di assumere tutte le informazioni necessarie ed opportune sulle caratteristiche dei singoli titoli da esso stesso proposti o richiesti dal cliente. Quest’ultimo obbligo assume particolare importanza nella fase esecutiva del contratto quadro, quella di negoziazione dei titoli.
9.3.4.2. La sentenza impugnata non ha, allora, sottoposto ad alcuna concreta valutazione (ritenendole, del tutto erroneamente, sostanzialmente irrilevanti) - in tal modo disattendendo i principi giurisprudenziali in precedenza richiamati - le circostanze, evidenziate dagli odierni ricorrenti incidentali già in sede di merito, relative al fatto che i titoli in questione furono negoziati prima che fossero immessi sul mercato, nel periodo del cd. grey market, con la conseguenza che la stessa Banca (e, a maggior ragione, i clienti retail) non disponeva di informazioni adeguate sulle caratteristiche di quel titolo, privo, tra l’altro, in quel momento, di rating ufficiale. Ciò avrebbe dovuto indurre la Banca ad agire con la massima prudenza, segnalando che si trattava di titoli particolarmente rischiosi o comunque non sicuri, tanto più che, in prima battuta, erano destinati ai soli investitori istituzionali. Né, del resto, come sembra ipotizzare la riportata motivazione della sentenza impugnata, ai fini del giudizio di inadeguatezza di un’operazione di investimento può attribuirsi rilievo esclusivamente allo stato, conclamato o prossimo, di default della società emittente o, come nella specie, di quella garante di quel titolo.
10. In definitiva, il ricorso principale va dichiarato inammissibile, mentre, quanto a quello incidentale, ne vanno respinti i primi due motivi ed accolto il terzo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. Va, infine, dato atto, - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, nei confronti della sola ricorrente principale, dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale; rigetta i primi due motivi del ricorso incidentale e ne accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Banca ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, giusta il comma 1-bis, dello stesso articolo 13.