(06/01/2024) - Maradona "vince" in Cassazione ! - CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - SEZ. TRIBUTARIA - Numero Registro Generale 6318/2019 - Numero sezionale 6314/2023 - Numero di raccolta generale 161/2024 - Data pubblicazione 03/01/2024.
Con la Sentenza Numero Registro Generale 6318/2019 - Numero Sezionale 6314/2023 - Numero di Raccolta Generale 161/2024 - Data pubblicazione 03/01/2024, la Suprema Corte di Cassazione mette la parola fine al "caso Maradona". Il Collega Avv. Angelo Pisani, non si è mai arreso, ed oggi ne esce, meritatamente, vincitore. L’Avv. Pisani ha insistito, in questi anni, a far valere i principi che, poi, la Corte di Cassazione, ha confermato, redarguendo l’Amministrazione finanziaria, che, se avesse meglio fatto uso delle proprie competenze, avrebbe evitato molteplici azioni legali.
Il contribuente il quale richiede all'Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell'atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve piuttosto prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto.
Non vi sono ragioni per precludere al contribuente la possibilità di esperire i mezzi di tutela per far valere tali vizi, ma questi non possono sovrapporsi ai vizi di validità o di merito afferenti all'atto impositivo, salvo prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto.
Il motivo di ricorso principale denunzia la pretesa violazione di legge che l’Amministrazione, nel denegare l’autotutela invocata, avrebbe commesso nel non ravvisare l'esistenza di un interesse, di rilevanza generale, alla rimozione degli atti impositivi in esame, rappresentato dalla violazione del divieto della doppia imposizione, conseguente alla mancata estensione al ricorrente, sostituito d’imposta, degli effetti del condono cui ha aderito la società sportiva Calcio Napoli, sostituto d’imposta.
Nella richiesta del ricorrente, in quanto sostituito d’imposta, di ritenere il proprio debito estinto in corrispondenza agli effetti del condono del quale ha pacificamente beneficiato, riguardo alle medesime obbligazioni, il sostituto d’imposta Società Sportiva Calcio Napoli
Peraltro, a fronte dell’ormai accertato esplicarsi di tale effetto estintivo (del quale resta da verificare in fatto solo la dimensione quantitativa) la sollecitazione, da parte del contribuente, dell’esercizio di autotutela da parte dell’Amministrazione (e perciò anche la coltivazione del giudizio conseguente al diniego), non può, nel caso di specie, considerarsi abusiva, ove si apprezzi che anzi, quanto meno con riferimento al presente giudizio, l’utilizzo della relativa facoltà erariale avrebbe potuto evitare la prosecuzione o l’introduzione di ulteriori procedimenti giudiziari.
----------------------------------------------------------------------------------------------------
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
ROBERTA CRUCITTI ANDREINA GIUDICE PIETRO MICHELE CATALDI MARCELLO MARIA FRACANZANI DANILO CHIECA
ha pronunciato la seguente
Presidente Consigliere Consigliere-Rel. Consigliere Consigliere
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6318/2019 R.G. proposto da: MARADONA DIEGO ARMANDO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato VACCARO PAOLA MARIA ANGELA (VCCPMR67L41G942D) rappresentato e difeso dagli avvocati PISANI ANGELO (PSNNGL71L21F839W), GARZILLI MASSIMO (GRZMSM66P26H703H)
-ricorrente-
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587), che la rappresenta e difende per legge
impugnabilità atto di diniego dell’autotutela-limiti del sindacato giurisdizionale-doppia imposizione-abuso del processo
Ud.14/12/2023 CC
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 6773/2018, depositata il 12/07/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere MICHELE CATALDI.
Rilevato che:
1.Si evince dal ricorso che Diego Armando Maradona impugnò i provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate (prot. 67240/2015 del 21 maggio 2015 e prot. 94018/2015 del 15 luglio 2015) di rigetto delle istanze di autotutela presentate in data 27 aprile e 3 luglio 2015 dallo stesso contribuente, in relazione all'avviso di mora notificatogli in data 17 ottobre 2013, avente ad oggetto la pretesa creditoria erariale per Irpef, oltre sanzioni ed interessi, per gli anni di imposta dal 1985 al 1990.
L’invocazione dell’autotutela trovava fondamento nell' assunta estensione, a favore del contribuente, quale sostituito, del condono ex lege n. 289 del 2002, al quale aveva avuto accesso, con estinzione della medesima pretesa erariale, il sostituto d’imposta società Calcio Napoli.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Napoli rigettò il ricorso del contribuente, il quale ha proposto appello innanzi la Commissione tributaria regionale della Campania che, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha rigettato.
2.Il contribuente propone ora ricorso, affidato ad un motivo, per la cassazione della sentenza d’appello. L’Amministrazione si difende con controricorso e propone ricorso incidentale subordinato, affidato a tre motivi.
Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Alessandro Pepe, con requisitoria scritta, chiede rigettarsi il ricorso principale, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato. Considerato che:
1.Con l’unico motivo di ricorso principale, il contribuente denuncia «Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ed in particolare dell'art. 7 legge 212/2000, dell'art. 2 quater dl 564/94, dell'art. 2 dm 37/97, dell'art.
3 legge 241/90, dei principi in materia di motivazione dell'atto amministrativo, oltre che di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione in relazione all'art. 360 n. 3 cpc». Deduce il ricorrente che con il motivo in esame non intende proporre «un nuovo (ed inammissibile) sindacato del giudice sulla pretesa tributaria», ma «evidenziare, a fronte della vicenda sottesa resa ulteriormente complessa dal condono (id est legge 289/2002) e dai principi informatori ad esso sottesi, i vizi propri degli atti di diniego impugnati per difetto di motivazione, per carenza di istruttoria, per violazione dei criteri di congruità e proporzionalità del fine perseguito».
Aggiunge che egli «non ignora il principio espresso dalle Sezioni Unite di codesta Suprema Corte secondo il quale avverso l'atto con il quale l'Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non è esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria dell'attività di autotutela, quanto per la inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull'atto di accertamento munito del carattere di definitività, "atteso che diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Cfr. Cass. Sez. Un. nn.2870 e 3698 del 2009; Cass. Sez. Un. n. 16097 del 2009).».
Precisa, tuttavia, che avverso il rifiuto espresso di autotutela può comunque esercitarsi il sindacato sulla legittimità del rifiuto stesso, che non coinvolga anche la fondatezza della pretesa tributaria, e che, nel caso di specie «appare evidente il vizio della sentenza qui impugnata», nella quale « Da un lato la CTR, premesso correttamente che, in relazione all'esercizio del potere di autotutela da parte dell'Amministrazione, il giudice tributario deve limitarsi a valutare la correttezza dell'esercizio del potere discrezionale, ha poi contraddetto sé stessa e posto nel nulla gli insegnamenti di codesta Suprema Corte in subiecta materia, ritenendo che non sussistono i presupposti per dichiarare la illegittimità del provvedimento impugnato [...]».
Il giudice a quo avrebbe quindi errato perché «non ha operato alcun sindacato sulle modalità di esercizio da parte dell'amministrazione del potere discrezionale di autotutela», e «non ha valutato, né ha dato alcuna risposta,
sui temi posti dal ricorrente al fine del riesame: gli effetti del condono e la ratio ad esso sottesa, il divieto della doppia imposizione, l'estinzione dell'obbligazione tributaria da parte del sostituto (id est SSC Napoli)». Conclude quindi il ricorrente che «In buona sostanza, nella sentenza impugnata è mancato del tutto il sindacato giurisdizionale sui profili di legittimità del rifiuto dell'Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere
(inter alia divieto della doppia imposizione)». 2.Deve evidenziarsi innanzitutto che non sussiste l’inammissibilità del
motivo, evocata in termini dubitativi nella requisitoria del P.G., per essere le critiche del ricorrente rivolte più alla sentenza che agli atti amministrativi impugnati, in quanto si contesta ai giudici d’appello di non essersi confrontati con la verifica della sussistenza o meno dell’interesse generale all’autotutela che l’Amministrazione non ha inteso esercitare.
Certamente il ricorso, in alcuni dei singoli passaggi citati, potrebbe dare adito all’individuazione (anche) di una censura rivolta a carenze della motivazione della stessa sentenza impugnata. Tuttavia, la lettura dell’intero corpo del mezzo ne evidenzia un contenuto non in contrasto con la rubricazione dell’unico motivo di ricorso in termini di violazione legge, integrata dalla riproduzione contestuale delle norme sostanziali che si assumono violate dall’Ufficio e dalla CTR, che ha condiviso le difese di quest’ultimo. In concreto, dunque, il mezzo, come già accaduto nei due gradi di merito, attinge inequivocabilmente la questione relativa alla pretesa illegittimità degli atti di diniego dell’autotutela, e dunque la sentenza impugnata per non aver ritenuto che questi ultimi non fossero legittimi.
3.Appare opportuno premettere, alla decisione sulla denunziata violazione di legge, il consolidato orientamento di questa Corte in merito ai limiti entro i quali gli atti con i quali l’Amministrazione neghi l’autotutela invocata possono essere impugnati.
L’ evoluzione giurisprudenziale in materia è stata ben riassunta nella sentenza (cui si rimanda anche per le annotazioni che seguono) del 14/09/2021, n. 24652, di questa Corte, ove si premette che le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 16778 del 2005, facendo leva sul «carattere generale»
della giurisdizione tributaria, assunto dopo la novella del 2001 n. 448, hanno affermato che, nonostante la mancata inclusione del provvedimento — tacito o espresso — di diniego di autotutela nell'elenco di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, esso è suscettibile di impugnativa giurisdizionale dinanzi al giudice tributario.
La successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 7388 del 2007 ha precisato che l'attribuzione al giudice tributario, da parte dell'art. 12, comma 2, della legge n. 448 del 2001, di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie, comporta che anche quelle relative agli atti di esercizio dell'autotutela tributaria, in quanto comunque incidenti sul rapporto obbligatorio tributario, devono ritenersi devoluti al giudice la cui giurisdizione è radicata in base alla materia, indipendentemente dalla specie di atto impugnato. Pertanto, sebbene il provvedimento di autotutela sia discrezionale e comporti l'affievolimento della posizione soggettiva del contribuente ad interesse legittimo, ciò non comporta la sottrazione delle controversie sui relativi atti al giudice naturale, ossia al giudice tributario.
Quanto ai limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti di autotutela, le Sezioni Unite — facendo riferimento ai principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sentenza n. 6758 e 7287 del 2004), in quanto, in base alla disciplina contenuta nell'art. 2- quater del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656, e nel regolamento di esecuzione, approvato con d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, poteri di annullamento o di revoca dell'Amministrazione finanziaria possono essere esercitati soltanto nel perseguimento di interessi pubblici — hanno circoscritto l'oggetto del giudizio alla valutazione della legittimità del rifiuto dell'annullamento d'ufficio, escludendo che esso possa estendersi alla fondatezza della pretesa tributaria, verificandosi altrimenti una indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa e, quindi, l'invasione in una sfera estranea a quella della giurisdizione tributaria. Pertanto, secondo i principi enunciati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, l'esercizio del potere di autotutela non costituisce un mezzo di tutela per il contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non sono stati esperiti, anche se comunque finisce con
l'incidere sul rapporto tributario e, quindi, sulla posizione giuridica del contribuente. Sulla stessa direttiva si sono mosse le Sezioni Unite anche con la sentenza n. 9669 del 2009, ribadendo l'impugnabilità del diniego di autotutela e la devoluzione alla giurisdizione del giudice tributario.
Si registra invece un mutamento significativo con la sentenza n. 2870 del 2009, con la quale le Sezioni Unite, pur in linea con le precedenti pronunce in merito alla sussistenza della giurisdizione delle Commissioni tributarie, hanno affermato che «avverso l'atto con il quale l'Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell'attività di autotutela, sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo».
La giurisprudenza successiva, con numerose pronunce (Cass., sez. 6-5, 2/02/2014, n. 25524; Cass., sez. 6-5, 11/12/2014, n. 26087; Cass., sez. 5, 20/02/2015, n. 3442; Cass., sez. 5, 28/03/2018, n.7616; Cass., sez. 5, 24/08/2018, n. 21146; Cass. sez. 5, 22/02/2019, n. 5332; Cass., sez. 2019, n. 8558; Cass., sez. 5, 25/09/2020, n.20200), pur ammettendo il sindacato sul diniego di autotutela, ha sostenuto che esso può riguardare solo profili di illegittimità del rifiuto di annullamento opposto dall'Amministrazione, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale, per cui il vaglio del giudice non può riguardare la fondatezza della pretesa tributaria, ormai definitivamente preclusa, determinandosi altrimenti una indebita sostituzione dell'autorità giudiziaria alle scelte discrezionali dell'amministrazione, peraltro con riferimento ad un atto ormai divenuto inoppugnabile. Pertanto, si è ritenuto che contro il diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela possa essere sì proposta impugnazione, ma soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa impositiva.
Peraltro, questa Corte, con l'ordinanza n. 4937 del 20 febbraio 2019, al fine di chiarire il contenuto della locuzione «interesse generale alla rimozione dell'atto», ha rilevato che per giustificare la doglianza contro il diniego di
autotutela occorre che sia dedotto un interesse generale (cioè travalicante quello individuale della parte in causa), concreto e specifico, in esatta corrispondenza all'interesse di cui l'amministrazione deve dar conto nella motivazione dell'atto di annullamento (adottato anche in assenza di sollecitazione del privato).
Anche la Corte costituzionale, intervenuta sul tema con la sentenza n. 181 del 19 luglio 2017, ha ribadito che l'annullamento d'ufficio non ha la funzione di tutela del contribuente, ma è espressione di amministrazione attiva e, pertanto, necessita di preliminari valutazioni comparative e discrezionali. Ed ha espressamente affermato che, pure «in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall'annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti — e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l'amministrazione tributaria è chiamata a provvedere — secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio».
Il giudice delle leggi ha infatti rilevato che altrimenti «affermare il dovere dell'amministrazione di rispondere all'istanza di autotutela significherebbe, in altri termini, creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, per giunta azionabile sine die dall'interessato, il quale potrebbe riattivare in ogni momento il circuito giurisdizionale, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo e della correlata stabilità della regolazione del rapporto che ne costituisce oggetto». Ed ha poi sottolineato come residui una ipotesi in cui è esperibile l'autotutela tributaria, ed è il caso in cui sia riscontrabile un interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, il quale, a sua volta, costituisce una sintesi tra l'interesse fiscale dello Stato ed il principio di effettività della capacità contributiva ex art. 53 Cost.
In tale contesto si inserisce anche la sentenza n. 24032 del 26 settembre 2019, con cui questa Corte ha affermato che il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell'annullamento dell'atto tributario divenuto definitivo è consentito, purché si accerti la ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell'Amministrazione finanziaria alla rimozione dell'atto, originarie o sopravvenute. Invece deve escludersi che possa essere accolta l’impugnazione dell'atto di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell'atto impositivo che avrebbe potuto far valere, per tutelare un interesse proprio, in sede di impugnazione prima che divenisse definitivo (in senso conforme, Cass., sez. 5, 23/01/2019, n.1803; Cass., sez. 5, 20/02/2019, n. 4937; Cass., sez. 5, 30/12/2020, n. 29874).
A sua volta, Cass. 07/03/2022, n. 7318, ha riaffermato che « In tema di contenzioso tributario, il sindacato del giudice sul provvedimento di diniego dell'annullamento in sede di autotutela dell'atto tributario divenuto definitivo è limitato all'accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell'Amministrazione finanziaria alla rimozione dell'atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l'impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell'atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo.»
Successivamente, Cass. 04/09/2023, n. 25659, ha ribadito il principio di diritto secondo cui «Il contribuente che richiede all'Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo o un provvedimento irrogativo di sanzioni, divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell'atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto. Ne consegue che contro il diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria».
Sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale intervenuto in materia, del tutto condivisibile, deve, quindi, ritenersi che, sebbene sia ammissibile
l’impugnazione dei provvedimenti di diniego emessi in sede di autotutela, ancorché l'originario provvedimento sia divenuto definitivo, è tuttavia in tali casi necessario un bilanciamento dei contrapposti interessi, secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa, dovendosi confermare, sotto tale aspetto, la natura pienamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio (Corte Cost., sentenza 13 luglio 2017, n.181), per cui il contribuente il quale richiede all'Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell'atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve piuttosto prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto. Infatti, come già riconosciuto da questa Corte (Cass., sez. 5, 30/10/2015,n. 22253), non può escludersi che, trattandosi di attività procedimentalizzata, anche il provvedimento di diniego di autotutela possa essere affetto da vizi di legittimità propri degli atti amministrativi, per cui non vi sono ragioni per precludere al contribuente la possibilità di esperire i mezzi di tutela per far valere tali vizi, ma questi non possono sovrapporsi ai vizi di validità o di merito afferenti all'atto impositivo, poiché altrimenti si consentirebbe l'aggiramento del termine di decadenza, previsto a garanzia del principio di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici, per l'impugnazione degli atti impositivi, che rimarrebbero esposti al riesame a tempo indeterminato tutte le volte in cui il contribuente dovesse presentare una istanza di revisione in autotutela.
4.Date tali premesse, deve innanzitutto rilevarsi, quanto al profilo di un assunto vizio di motivazione degli atti di diniego in esame, che la CTR - facendo buon governo di tali principi ed argomentando in maniera logica e non contraddittoria- ha escluso in concreto, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, la sussistenza della relativa patologia, ritenendo entrambi i provvedimenti “ritualmente motivati”, condividendo espressamente la valutazione della CTP «in ordine alla corretta e puntuale motivazione dei provvedimenti emessi dall’Ufficio e oggetto d’impugnazione». Fermo restando che la valutazione dell’adeguatezza, in concreto, della motivazione degli atti a rendere edotta la parte interessata delle ragioni che li sostengono è apprezzamento riservato al giudice del merito, deve peraltro
rilevarsi che la censura del ricorrente neppure specifica puntualmente in che modo, sotto tale specifico aspetto, la motivazione degli atti dovrebbe dirsi carente.
5.Sotto altro profilo, il motivo di ricorso principale denunzia la pretesa violazione di legge che l’Amministrazione, nel denegare l’autotutela invocata, avrebbe commesso nel non ravvisare l'esistenza di un interesse, di rilevanza generale, alla rimozione degli atti impositivi in esame, rappresentato dalla violazione del divieto della doppia imposizione, conseguente alla mancata estensione al ricorrente, sostituito d’imposta, degli effetti del condono cui ha aderito la società sportiva Calcio Napoli, sostituto d’imposta.
Sul punto il ricorrente lamenta che sarebbe stato violato l’art.2 del d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, il quale, al comma 1, lett. d), prevede, che «L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro: [...] d) doppia imposizione;».
Indifferente, secondo il ricorrente, è l’argomentazione dell’Ufficio secondo cui l’effetto del condono sarebbe precluso dall’essere passata in giudicato la statuizione relativa alla conferma degli avvisi d’accertamento , dai quali deriva la pretesa erariale, per effetto della sentenza di questa Corte dell’11 febbraio 2005, n. 3231, trattandosi di dato pacifico e presupposto della stessa istanza di autotutela, invocata quale rimedio volto a perseguire l’interesse generale di impedire la doppia imposizione a carico del sostituto d’imposta e del sostituito, in conseguenza del condono del quale il primo ha beneficiato.
5.1. Rileva il Collegio che l’ulteriore profilo, appena esposto, del motivo di ricorso principale si sostanzia - per quanto riguarda l’interesse concreto perseguito dall’iniziativa, prima amministrativa e poi giudiziaria, del contribuente- nella richiesta del ricorrente, in quanto sostituito d’imposta, di ritenere il proprio debito estinto in corrispondenza agli effetti del condono del quale ha pacificamente beneficiato, riguardo alle medesime obbligazioni, il sostituto d’imposta Società Sportiva Calcio Napoli.
Ebbene, sul punto questa Corte ha già statuito, tra le stesse parti e con riferimento alla medesima obbligazione tributaria, con l’ordinanza di cassazione con rinvio dell’11 marzo 2021, n. 6854, che, accogliendo il ricorso n.r.g.11273/2014 del medesimo Maradona avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale della Campania, n. 598/1/2013, depositata l’ 1 febbraio 2013, ha ritenuto ammissibile l’intervento adesivo dipendente dello stesso contribuente nel giudizio d’appello tra la società sportiva Calcio Napoli s.p.a. e l’Agenzia delle entrate, disponendo che « Il giudice del rinvio dovrà, dunque, verificare, una volta esteso il condono di cui ha beneficiato il sostituto di imposta (società Calcio Napoli) anche al calciatore Maradona (sostituito), la sua posizione tributaria per il debito residuo nei confronti della Amministrazione finanziaria.».
Il predetto arresto (successivo alla proposizione del ricorso per cui si procede, rilevato sulla base delle indicazioni in ordine al relativo giudizio di legittimità offerte dalla stessa Amministrazione nel controricorso e comunque rilevabile d’ufficio) non si limita quindi ad affermare, in rito, l’ammissibilità dell’intervento effettuato in quel contenzioso dallo stesso contribuente, ma attribuisce espressamente a quest’ultimo, nel caso concreto, il diritto a beneficiare dell’effetto estintivo dell’obbligazione tributaria a suo carico, nei limiti nei quali la stessa è stata estinta dal sostituto: « se, invece, adempie il "sostituto", come è accaduto nel caso in esame attraverso l'adesione al condono da parte della Società Napoli calcio, il pagamento viene effettuato "per conto" del sostituito, la cui obbligazione si trova ad essere estinta limitatamente alla parte pagata o per la quale v'è stata applicazione del condono.» (Cass. 11 marzo 2021, n. 6854, cit., in motivazione). Rimane quindi impregiudicata, in quanto rimessa all’accertamento del giudice del merito, solo la quantificazione dell’obbligazione residua eventualmente gravante sullo stesso Maradona, fermo restando che lo stesso avvenuto condono, ad iniziativa del sostituto d’imposta, è circostanza data per pacifica dalla sentenza di legittimità in questione e non messa in dubbio neppure in questo giudizio.
Rileva il Collegio che le argomentazioni, le conclusioni ed il principio ricavabili dalla pronuncia richiamata sono condivisibili e non vi sono ragioni, in questa
sede, per non confermare, tra le medesime parti ed in relazione al medesimo rapporto, lo stesso principio esposto dal precedente de quo, tanto più in considerazione del riferimento, contenuto nella sentenza citata (Cass. 11 marzo 2021, n. 6854, cit., in motivazione, punto 16), alla circostanza che l'eventuale pagamento da parte del contribuente della somma pretesa per l'intero comporterebbe, in mancanza di un accertamento di merito attestante l'effettiva somma ancora dovuta dal Maradona, il medesimo effetto di doppia imposizione paventato in questo giudizio dal ricorrente e menzionato dall’art. 2, comma 1, lett. d), del d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, quale possibile ragione di esercizio dell’autotutela.
Deve peraltro escludersi che si possa, in questa sede, in forza della ridetta ordinanza di cassazione con rinvio dell’11 marzo 2021, n. 6854, di questa Corte, ritenere cessata la materia del contendere a seguito dell’ estensione del condono di cui ha beneficiato il sostituto di imposta anche al sostituito Maradona, in quanto l’intervenuta cessazione della materia del contendere, ovvero l’ipotetico totale venir meno dell’obbligazione tributaria controversa, richiede necessari accertamenti in fatto.
Va quindi accolto, nei termini appena esposti, il primo motivo di ricorso, con conseguente rinvio al giudice a quo per determinare, in punto di fatto, la residua somma dovuta dal ricorrente, secondo i predetti principi.
6. Venendo al ricorso incidentale subordinato dell’Amministrazione, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., si censura la sentenza impugnata per non aver rilevato l’inammissibilità dell’appello del contribuente, a causa della sua assunta genericità. Il motivo è infondato, avendo questa Corte, con orientamento consolidato, ritenuto che nel processo tributario: - la sanzione di inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all'art. 14 disp. prel. cod.civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l'accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell'atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l'effettività del sindacato sul merito dell'impugnazione (Cass., 15/01/2019, n. 707);
- e, comunque, la riproposizione a supporto dell'appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell'impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell'accertamento (per l'Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l'onere di impugnazione specifica imposto dall'art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall'atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (Cass., 20/12/2018, n. 32954).
Nel caso di specie, valutato alla luce di tali principi, l’appello del contribuente appare ammissibile. Il primo motivo è poi infondato anche nella parte in cui lamenta la novità della proposizione, nell’impugnazione, della lettura, ai sensi dell’art. 404 cod. proc. civ., della domanda di estensione degli effetti estintivi del condono cui ha aderito il sostituto d’imposta.
Infatti, la censura non prende in considerazione l’accertamento esplicito, operato dalla CTR, circa la proposizione della medesima argomentazione già nel ricorso introduttivo del contribuente. Inoltre, si tratta non di un mutamento della causa petendi o del petitum, ma di una mera difesa, ovvero di un’argomentazione relativa alla qualificazione giuridica dell’iniziativa processuale del contribuente, al fine di inquadrarne i presupposti nell’ordinamento processuale generale. In ogni caso, la questione appare comunque priva di rilevanza effettiva ai fini della decisione favorevole al contribuente, che trova fondamento nei principi in materia di autotutela, di rapporti tra le obbligazioni del sostituto e del sostituito, e di effetti del condono, oltre che nel precedente di legittimità citato.
7. È pure infondato il secondo motivo del ricorso incidentale erariale, con il quale si sostiene l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., del ricorso introduttivo del contribuente, per asserita non impugnabilità dell’atto di diniego dell’autotutela. Valga, sul punto, quanto già ampiamente argomentato a proposito del ricorso principale.
8. È infondato anche il terzo motivo del ricorso incidentale erariale, con il quale si sostiene la violazione degli artt. 2 ed 11 Cost. ed 88 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., per l’abuso del processo, che sarebbe imputabile al contribuente, a causa della serie, ritenuta pletorica, di iniziative giudiziarie con le quali avrebbe perseguito la finalità di incidere su un’obbligazione tributaria ormai definitivamente accertata, scaturente da avvisi d’accertamento irretrattabili, sostenendo il difetto di notificazione di tali atti presupposti. Invero l’argomentazione non appare centrata rispetto all’oggetto di questo giudizio, il cui contenuto essenziale e rilevante non è affatto quello di rimettere in discussione atti impositivi ormai irrevocabili, sostenendone il difetto di notifica, ma di ottenere l’accertamento dell’effetto estintivo delle conseguenti obbligazioni tributarie, come prodotto dal successivo accesso al condono da parte del sostituto d’imposta. Peraltro, a fronte dell’ormai accertato esplicarsi di tale effetto estintivo (del quale resta da verificare in fatto solo la dimensione quantitativa) la sollecitazione, da parte del contribuente, dell’esercizio di autotutela da parte dell’Amministrazione (e perciò anche la coltivazione del giudizio conseguente al diniego), non può, nel caso di specie, considerarsi abusiva, ove si apprezzi che anzi, quanto meno con riferimento al presente giudizio, l’utilizzo della relativa facoltà erariale avrebbe potuto evitare la prosecuzione o l’introduzione di ulteriori procedimenti giudiziari.
9.Rilevato che risulta soccombente, quanto al ricorso incidentale, una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso principale e rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14/12/2023.
La Presidente ROBERTA CRUCITTI